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Neve

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Spalancando le imposte Laura vede che c'è il sole e il cielo è senza una nuvola e di un azzurro intenso. Nei tre giorni precedenti ha nevicato quasi ininterrottamente e tutto è sparito sotto una spessa coltre bianca. Tanta neve così non s'era vista da almeno dieci anni, dicono in paese.
Si veste in fretta, calza gli stivali di gomma sopra due paia di calze di lana, indossa il parka, prende sacco, guanti e guinzaglio ed esce in giardino. Zabot, che era acciambellato al sole nella neve, appena la vede col guinzaglio in mano balza su esibendosi in un festoso delirio: piroetta su se stesso schizzando neve tutt'intorno e le impedisce il passo lanciandosi gioiosamente su di lei con tutto il suo peso e stampandole addosso le impronte dei suoi zamponi bagnati. Finalmente riesce a calmarlo un po' e ad agganciargli il guinzaglio.
Si dirige verso la strada del bosco. Dopo pochi minuti sta già salendo nella densa pineta di rimboschimento e può finalmente lasciar libero il cane, sicura che d'ora in poi non incontreranno né altri cani né gatti né tantomeno esseri umani. Zabot schizza via come una freccia e sparisce nelle profondità del bosco.
Laura sale spedita, col suo solito passo regolare da montagna, appena un po' rallentato dall'affondare nella neve fresca. Ai pini si sono ora sostituiti castagneti da frutto alternati a bosco ceduo. A tratti la investono zaffate dell'odore acre dei cinghiali, nei punti dove la strada è attraversata dai loro sentieri. Con la neve il loro odore sembra quasi più forte. Zabot ogni tanto riappare, annusa qualcosa pieno di concentrazione e sparisce di nuovo seguendo qualche traccia odorosa.
Superata una curva le giunge di lontano lo scrosciare del torrente che scorre in fondo al Fossatone. Il rumore si fa via via più forte e dopo un'ultima curva ne vede le acque impetuose, che precipitano a valle in una stretta gola boscosa: per contrasto con il candore che le circonda sembrano nere. Passato il torrente su un ponte di pietra, si sale ripidamente su un pendio volto a nord-est, la direzione da cui ha soffiato il vento nei giorni precedenti. Qui la neve si è accumulata più che altrove e non è stata minimamente intaccata dal sole, che in quel punto non arriva mai. Si affonda fin quasi al ginocchio. Zabot vuol lanciarsi verso a qualcosa sul pendio ed Laura lo vede sprofondare fino al ventre e quasi nuotare nella neve fresca.
Tale è la bellezza intorno che si ferma a contemplare. Il cane è di nuovo sparito e così lei è completamente sola nel paesaggio immacolato. La nevicata ha trasformato i rami degli alberi in astratti arabeschi, bianco su bianco. Silenzio profondo, rotto solo ogni tanto dal piccolo tonfo di un blocchetto che si stacca da un ramo e cade in uno sfarinio bianco. Non si vedono nemmeno orme di animali: tutto è di una purezza assoluta. Non sembrano più i luoghi a lei così noti, ma un paesaggio sognato. Si sente riempire di gratitudine per il dono gratuito ed effimero di tanta bellezza.
Quando riprende a salire ha quasi ritegno di violare quel candido manto affondandovi il piede. Le nasce un pensiero improvviso: ora che la sorte le ha tolto gli affetti più cari e cancellato e sommerso il passato, la sua vita è verginale, intatta e chiusa come questa neve. Da molto tempo non le accadeva più di pensare al futuro. Ora ci pensa e lo vede di nuovo pieno di infinite possibilità racchiuse nel candore di una neve compatta che tutto copre e nasconde. Sente che c'è un'affinità fra il suo vivere attuale, così reciso da tutto, e questo austero e monocromo paesaggio invernale.
Poco più su rivede, anch'esso imbiancato e trasfigurato, il castagno secolare che sembra quasi una scultura. L'ha sempre ammirato per la sua bellezza: il vecchio tronco gigantesco, spaccato e contorto, è contornato e sottolineato dai nuovi tronchi dritti e slanciati sorti dal pedale. Guardandolo le par quasi di vedere di nuovo Francesco in piedi dentro l'albero intento a fotografarne da vicino il vecchio legno. Tornavano da una passeggiata insieme. Li aveva colpiti e arrestati lo spettacolo del castagno illuminato di striscio dalla luce del sole calante. Lui aveva tirato fuori la macchina fotografica ed era rimasto lungamente a riprendere l'albero girandoci intorno, salendoci sopra, penetrandoci dentro, cambiando gli scorci, provando inquadrature. Intanto Laura si era seduta e lo osservava. Più sotto il fitto bosco, ancora spoglio, era immerso nella calda luce del tramonto e il disegno dei rami risaltava sullo sfondo dell'opposto pendio del monte già in ombra.
Francesco mette nel tempo questi preziosi indugi, queste sospensioni che fanno meditare e assaporare. Non ha fretta, non vuole arrivare da nessuna parte, non ha uno scopo, si immerge completamente in quello che ha intorno.
Chissà se le telefonerà per combinare una passeggiata insieme? Ma no, sa già che aspetterà inutilmente e ansiosamente e non avrà il coraggio di chiamarlo lei per timore di disturbare. Lui è chiuso in un suo mondo, che difende selvaggiamente dalle intrusioni degli estranei, è indecifrabile, sfuggente, elusivo come un animale selvatico. Sa già che aspetterà invano una sua telefonata, ma va bene anche così.
Al bivio prende a sinistra. Poco dopo ecco l'apparizione di un elleboro che emerge isolato dal gran candore. Il verde chiaro della parte fiorita contrasta col verde cupo delle foglie eleganti e profondamente incise. Dei fiori alcuni sono ancora in boccio, altri appena schiusi e simili a campanellini pendenti, altri completamente aperti con le tre capsule del frutto che formano un disegno a stella al centro; tutti hanno i petali orlati irregolarmente di rosso cupo come fossero stati intinti nel sangue.
La strada contorna a mezza costa il pendio del monte, poi s'interna nel vallone dell'Infernaccio divenendo via via più stretta e ingombra di massi, ora completamente sommersi e nascosti dalla neve. Giunta al fondo del vallone cessa improvvisamente, come spesso le strade di qui, che servono solo per lo sfruttamento del bosco. Laura si ferma e scruta il versante opposto in cerca di tracce di sentieri percorribili. Non riesce a vedere nulla e Zabot, che si è avventurato sul ripido pendio innevato, torna presto indietro. La zona è la più selvaggia e remota di quante ne ha attraversato finora. Anche qui il sole non giunge mai. I giovani tronchi sottili del bosco ceduo si slanciano verso l'alto in cerca di luce, tutti uguali e paralleli fra loro e ora anche tutti simmetricamente decorati di bianco dal lato di nord-est.
All'improvviso sente levarsi alto e possente il bramito di un capriolo in amore. È un verso stranissimo e inquietante, così simile a un abbaiare deformato da qualche acuta sofferenza che la prima volta che lo sentì, senza ancora sapere di che si trattava, immaginò con raccapriccio che fossero urla di dolore e di rabbia di Zabot impegnato in un furibondo combattimento con qualche cinghiale. Il selvaggio latrato si ripete più volte spostandosi e traendo echi dal monte. Sembra vicinissimo, sopra la sua testa. Anche Zabot ascolta intento, fermo accanto a lei con le orecchie sollevate e il capo inclinato. Poi il grido si allontana e infine tace.
Laura si volge per tornare e per faticare meno mette i piedi nelle orme lasciate all'andata. Ora va lenta, non sa staccarsi, si ferma continuamente a contemplare. Il sole va e viene a seconda delle giravolte della strada: in certi punti non è ancora sorto, in altri non sorgerà mai, in altri batte già caldissimo, riverberato da tutta quella neve intorno. Zabot, ritornando surriscaldato da una gran corsa dietro a qualcosa, per rinfrescarsi si è gettato col ventre sulla neve e la mangia avidamente.
Chissà se Francesco telefonerà? Ma va bene anche così, pensa ancora Laura. Le basta sapere che esiste uno come lui, aver conosciuto il suo affascinante mondo, il suo modo di vivere, di essere artista, di creare. Le ha dato uno sguardo nuovo per l'infinita bellezza di tante piccole cose: un nido di uccello che il vento ha fatto cadere, un aculeo d'istrice, le pietre, le piume, le foglie, le ragnatele, i ghiaccioli. Come questi ghiaccioli che nei punti esposti, dove il sole ha fatto sciogliere un poco la neve, discendono dalla ripa di terra rossastra mista a rocce che limita la strada dal lato a monte. Pendono dalle radici degli alberi come strani, fantastici gioielli. Dalle punte acuminate e sottili scendono lentamente piccolissime gocce iridandosi ai raggi del sole. Uno ha inglobato alla base un pochino di muschio che traspare col suo verde come un fossile incastonato nell'ambra. Verrebbe voglia di prendere uno di questi gioielli, ma poi resterebbe in mano solo un po' d'acqua. Anche tutta questa neve nel giro di poco si dissolverà gocciolando, ruscellando, intridendo la terra, e ci sarà fango dappertutto.
L'ultimo tratto è meno innevato e più familiare, prelude al rientro nella normalità. Rimette il guinzaglio al cane e insieme sbucano sulla strada asfaltata. Qui bisogna stare attenti al ghiaccio formatosi al passaggio delle macchine. Riesce a malapena a trattenere Zabot, che tira con tutta la sua forza e abbaia con grande impegno contro il cagnetto di un podere che stanno oltrepassando. Appare in lontananza il paese con le sue case arrampicate e strette insieme su un buffo cocuzzolo roccioso. I tetti sono tutti imbiancati. Ai margini, un po' staccata, ecco la sua casa contornata da neri cipressi: davanti bianchi pendii da cui il sole sta facendo riaffiorare il verde. A questa vista prova un tranquillo e rassicurante senso di appartenenza. La lunga camminata l'ha rilassata e in tutto il corpo le scorre un senso di calore e di benessere mentre i pensieri si sono fatti più vividi e leggeri. La sua vita è ormai qui: questo è il suo paese, questa la sua casa. L'altra casa, l'altra sua vita in città appartengono ormai anch'esse a quel passato che la gran nevicata ha sommerso.
Chissà se Francesco telefonerà... Ma anche così è contenta di averlo incontrato. È l'uomo più libero che abbia mai conosciuto. Le ha insegnato la lentezza.
Guarda l'orologio. È stata nel bosco un'ora e mezza, ma le sembra di tornare da un lunghissimo viaggio. Ora dovrà rientrare nella quotidianità, sedersi al computer e completare quella relazione da consegnare entro sabato. Ma sa già che non lo farà. Invece si metterà a scrivere. A scrivere di questa passeggiata nella neve. E tenderà l'orecchio sperando che squilli il telefono...

Poderuccio, 3 marzo - 17 aprile 2004.

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